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John Frusciante: l’intervista a Total Guitar tradotta integralmente per voi da VQ.it è qui!

«Pensai: se devo tornare a fare musica rock, lo farò ripartendo dalle radici»

John Frusciante a Total Guitar

Per la prima volta dopo tanti anni, John Frusciante torna ad essere il chitarrista mainstream che era un tempo e si guadagna la copertina di Total Guitar in uscita il prossimo Maggio. L’intervista, lunga e davvero interessantissima, la potete leggere qua, tradotta integralmente per voi dai nostri Francesco Generale, Paolo Tedeschi, Dario Giannulo e Francesco Colinucci. Buona lettura!

John Frusciante live nella data zero della nuova era RHCP.
Il 1° Aprile 2022 la band si è esibita al Fonda Theatre di Los Angeles per dare il via alla promozione di Unlimited Love.

Quando lasciò i Red Hot Chili Peppers, John Frusciante si tenne in forma suonando assoli jazz e imparando progressioni di accordi prog rock. Ora che è rientrato nella band, si è immerso ancora più profondamente in un allenamento musicale e artistico – ispirato dal legame col blues elettrico e col rock‘n’roll degli Anni ’50. In più, si sente alla grande per il ricongiungimento della vecchia gang. «È una sensazione magica!», dice.

In fin dei conti, è una ragione semplice quella che ha portato John Frusciante a ritornare nei Red Hot Chili Peppers. «Volevo davvero la sfida di provare a lavorare in una band democratica», dice, «con persone che rispetto e con cui ho una chimica. Sentivo che per progredire come anima e come essere umano dovevo accettare quella sfida, che sarebbe stata una buona cosa per me provare a lavorare con loro in maniera armoniosa, senza lasciarmi guidare dal mio ego, ma avendo amore e rispetto per loro. Questo era il punto: cercare di essere una parte del tutto».

La prima foto ufficiale apparsa sui social nel Settembre del 2021, dopo due anni di totale (o quasi) silenzio stampa da parte della band post annuncio del rientro di Frusciante in formazione.

Frusciante parla a Total Guitar dalla sua casa a Los Angeles, la città in cui i Red Hot Chili Peppers si formarono nel lontano 1983. Con i lunghi capelli spettinati sotto un cappello di lana, la faccia non rasata, degli occhiali cerchiati di nero e una maglia gialla aderente alla sua corporatura snella, il chitarrista sembra circa lo stesso di 16 anni fa, quando il doppio album Stadium Arcadium portò la band per la prima volta al primo posto negli Stati Uniti. Fu però sulla scia del successo di quell’album che John lasciò la band – per la seconda volta, dopo aver precedentemente fatto lo stesso nel 1992, con entrambi gli abbandoni dovuti al suo disagio con la pressione della fama.

Dopo il suo allontanamento nel 2009, i Chili Peppers sono andati avanti pubblicando due album con un altro talentuoso chitarrista, Josh Klinghoffer. Frusciante, nel frattempo, ha perseguito il suo amore per la musica elettronica e i sintetizzatori modulari, nel tentativo di fare un tipo di musica che si distinguesse da quello della band con cui si era fatto un nome e con aspirazioni completamente personali, non commerciali.

Fu quindi una sorpresa quando i Chili Peppers rilasciarono un comunicato sui social media sul finire del 2019, annunciando il ritorno di Frusciante e, con esso, la possibilità di fare un nuovo album – il primo dai tempi di Stadium Arcadium con John nel gruppo. Il frutto del loro lavoro, Unlimited Love, vede la band riunirsi col superproduttore Rick Rubin, portando in dote 17 tracce che esprimono la gamma delle loro influenze collettive, dal funk fresco al progressive rock fino all’hardcore punk. In breve, la chimica tra John, il bassista Flea, il batterista Chad Smith e il frontman Anthony Kiedis è riemersa intatta, una formula musicale che non si è piegata alla trafila di oltre un decennio, e neanche ad una pandemia globale.

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Naturalmente c’è molto di cui parlare, e John è certamente dell’umore giusto per parlare – al punto che la conversazione con TG si è allungata dai 45 minuti stabiliti fino a più di due ore. Adora discutere degli argomenti che più gli stanno a cuore – l’arte di fare musica, le attrezzature che utilizza, l’attesa per il ritorno della band alle esibizioni dal vivo. È anche sincero sui motivi per cui ha lasciato la band più di un decennio fa e su quelli che alla fine lo hanno riportato dai suoi fratelli musicali.

I RHCP con John Frusciante ai tempi di Stadium Arcadium. Foto di Gus Van Sant

«Ho riflettuto così tanto sulle cause della mia ultima uscita dalla band che non credo di aver avuto, al tempo, lo spazio mentale per esserne consapevole», dice.

«Ero tipo ‘non voglio vivere in questo mondo di fama e pubblicità, voglio solo concentrarmi sul fare musica elettronica e farlo per il semplice gusto di fare musica, non per fare felici le persone, non per avere successo’».

«E questo è ciò di cui avevo bisogno a quel tempo. Ma guardandomi indietro ho compreso molti degli stress personali fra me e gli altri membri della band, e ho visto la mia parte in essi più di quanta ne avessi vista nel 2009. E anche se credo che non sia colpa di nessuno quando qualcuno lascia una band, come persona sono cresciuto abbastanza da vedere la mia parte in questa situazione, al contrario del comportarmi semplicemente come vittima».


UN NUOVO INIZIO

I RHCP dal vivo ospiti del Jimmy Kimmel Show andato in onda lo scorso 1° Aprile, in uno dei loro primi concerti con John Frusciante di nuovo sul palco.

È difficile sovrastimare l’impatto che John Frusciante ha avuto su intere generazioni di chitarristi. Con le sue linee sparse e ricche di sentimento nel rivoluzionario Blood Sugar Sex Magik dei Chili Peppers del 1991, ha introdotto i musicisti degli anni ’90 ad un’esilarante miscela di funk e post-punk. E nella sua seconda fase con la band, una serie di tre album espansivi, diversi e multimilionari – Californication, By The Way e Stadium Arcadium – ha mantenuto i testi avventurosi e gli assoli di chitarra in prima linea nel rock mainstream in un periodo in cui pop-punk e nu-metal dominavano le radio.

Per questa terza fase, la band riunita ha mosso i primi incerti passi nella sala prove. Piuttosto che iniziare a scrivere di punto in bianco, hanno suonato del materiale dei primissimi album – usciti quando John era un fan, anziché un membro della band – allo scopo di riconnettersi con le radici del gruppo. Nel frattempo, i membri suggerivano cover di pezzi classici – “Some Other Guy” di Richie Barrett, “Trash” dei New York Dolls, “Hot Little Mama” di Johnny ‘Guitar’ Watson e “Waterloo Sunset” dei Kinks fra le altre – che iniettassero nella sala un’energia fresca.

«Non volevo sentire nessuna pressione sullo scrivere nuova roba, perché sarebbe stato opprimente» ricorda John. «Quindi per un mese o due abbiamo suonato solo canzoni di altri artisti o dei primi Chili Peppers. Ci siamo divertiti un sacco. E fortunatamente quello spirito di divertimento è rimasto con noi per tutto il processo di scrittura, anche dopo aver scartato e sostituito quelle canzoni, andando lì ogni giorno eccitati per le novità che stavamo inserendo o per le jam che stavamo trasformando in canzoni».

I RHCP alla cerimonia di introduzione nella Hollywood Walk Of Fame lo scorso 31 Marzo 2022

E ragazzi, avevano davvero tante canzoni. Nel momento in cui la band raggiunse lo studio Shangri-La di Rubin nel 2021, avevano 45 tracce belle che pronte, più altre tre scritte durante le sessioni. Alla fine furono registrate tutte, lasciando materiale più che sufficiente per un disco successivo.

«Mi sembra davvero che abbiamo conservato alcuni dei pezzi migliori per il potenziale prossimo album», rivela John. Eppure, aggiunge, non aveva intenzione di scrivere così tante canzoni.

«Sai, io ero pronto a fermarmi già quando ne avevamo tipo 20 – mi sembrava che fossero abbastanza», dice ridendo. «Ma da una cosa nasce l’altra e ciascuno continuava a incoraggiarmi a inserire altre canzoni. Così, prima di accorgercene, avevamo molte più canzoni di quante ne avessimo mai scritte prima per un singolo disco».

Per la sua parte, a John è bastato leggere il suo modo di suonare la chitarra per tornare a scrivere musica rock. Durante la sua esperienza con la musica elettronica, ogni momento con la chitarra in grembo veniva impiegato per apprezzare la musica piuttosto che per comporla. Imparò ogni assolo registrato dal grande jazzista Charlie Christian e si ispirò alle progressioni di accordi negli album storici degli anni ’70 dei Genesis, leggende del progressive rock. Ciò lo ha aiutato a riconnettersi col suo amore per lo strumento.

«Sviluppai una relazione da vero fan con le diverse forme della musica rock, senza che ciò avesse nulla a che fare con la mia identità», spiega. «Così, quando tornai a suonare con la band, sapevo che ciò avrebbe avuto un effetto su ciò che scrivevo».

Di conseguenza, il chitarrista ebbe una visione di dove voleva portare le sue composizioni, già ascoltate alle origini del genere al quale stava ritornando.

Come lui stesso spiega: «Volevo veramente focalizzarmi su quello che percepivo come l’inizio della musica rock nella storia – il rock ‘n’ roll di fine anni ’50 ed il blues elettrico che si diffuse tra gli anni ’40 e ’50. Volevo immaginarmi come un ragazzo che arrivava negli anni dei Beatles, dei Creem o di Jimi Hendrix, per chiedermi: ‘cosa avrei fatto per abbellire queste fondamenta?’. Mi sembrava che, siccome stavo tornando a fare musica rock, tanto valeva ripartire dalle radici. Avevo trascorso molto tempo, per altri album, a concentrarmi specificatamente su Jimmy Page, Jimi Hendrix o i Cream. Invece di rifare lo stesso, pensai ‘concentriamoci su Elvis, Clarence ‘Gatemouth’ Brown, Freddie King, Albert King, Buddy Holly, Gene Vincent, Ricky Nelson – e poi, in che modo potrei provare a fare qualcosa che vada oltre?».

Quei piani sarebbero cambiati una volta che John avrebbe cominciato a collaborare con la band. Per riscaldarsi in vista del dover registrare ogni giorno, avrebbe suonato pezzi dei classici album Truth, Blow By Blow e Wired di Jeff Beck. Allo stesso tempo, però, si stava reimmergendo nell’approccio testuale di John McGeoch dei Siouxsie and the Banshees e nei riff abrasivi di Greg Ginn dei Black Flag. Il suo approccio è diventato un’amalgama di tutte queste influenze con qualche infarinata di guitar hero degli Anni 80. «Amo i chitarristi come Eddie Van Halen e Randy Rodes per la capacità che avevano di far esplodere lo strumento con le mani e la leva della chitarra ma apprezzo molto  persone come Greg Ginn e Kurt Cobain che suonano senza dare troppa importanza alla tecnica, nonostante facciano anche uso di tecniche non convenzionali, ma hanno un approccio più viscerale».

«Nel momento in cui stavamo registrando il mio obiettivo era trovare un ponte tra queste due concezioni dello strumento: l’idea di esplodere con l’elettricità dell’energia umana che passa attraverso le corde della chitarra.  E, inoltre, usando tutte quelle tecniche sviluppate da Van Halen e Randy Rhoads che mi sembra derivino più o meno da quello che faceva Jeff Beck in Blow By Blow e Wired».

Alla fine Unlimited Love è un distillato del chitarrista eroico che era nell’album Stadium Arcadium e a quello dei momenti più sperimentali di By The Way. Passando dall’alt rock di “Black Summer” per il funk di “Poster Child” fino al feroce hardcore di “These Are The Ways”.

John Frusciante nel video di “These Are The Ways”, secondo singolo estratto da Unlimited Love

«Prima di scrivere “These are the ways” stavo suonando “Propaganda” degli Sparks e rimasi colpito da quanto fossero semplici ma fantasiose quelle progressioni di accordi. Ma quando l’ho portata alla band si è trasformata in una cosa heavy dove la batteria passa da Keith Moon ai Black Sabbath e ai Metallica. Il finale mi sembra una cosa speed metal». Un’altra svolta stilistica è “White braids and pillow chair”, un giro di accordi mid tempo con un finale rockabilly. È stata una delle prime canzoni portate da John ed è anche una delle sue preferite per il modo in cui «si mischiano alcune cose che sono molto importanti per me». Gli approcci più strutturali di John sono evidenti in “Not the one” e “It’s only natural” che combinano il minimalismo del goth Anni ’80 con le tecniche ispirate dai chitarristi più grandi di tutti i tempi. Attratto dal modo di Adrian Belew e Eddie Van Halen di usare la manopola del volume insieme ad un forte uso di un deelay digitale. “It’s only natural” presenta un reverse deelay nel suo assolo psichedelico ma è nelle atmosfere semplici della strofa che c’è ancora una volta l’ispirazione di Jeff Beck.

«Sembra che ci sia l’eco in “It’s only natural” ma ho fatto tutto con le mani. Non è l’eco, sono io con la mia mano destra che faccio forte, forte, forte, piano, piano, piano, piano. È una cosa che ho fatto parecchio perché nel disco Blow By Blow di Jeff Beck c’è una canzone chiamata “Constipated Duck” e penso che ci sia dell’eco nella chitarra ma per suonarci sopra devi fare così: suonare forte, più piano, più piano, più piano, più piano per suonare esattamente come nella canzone.  Flea ha suonato “It’s only natural” al piano poi quando è passato al basso ho pensato che sarebbe stato forte se avessi provato a questo tipo di cose, come in “Constipated Duck”, e renderla una parte della canzone».


VECCHI AMICI

John Frusciante dal vivo con i Peppers nel concerto in-store all’Amoeba di Hollywood tenutosi lo scorso 7 Aprile 2022

Mentre cercava di esplorare nuovi territori con Unlimited Love con il suo modo di comporre e la sua tecnica filosofica, da un altro lato invece si è riunito con l’attrezzatura che ha usato per solcare il cuore di milioni di giovani chitarristi.

«La chitarra che ho usato principalmente è la strato del 62 che è la stessa che ho preso quando sono tornato nel 1998» che ha ancora i pick up originali ma questa volta potenziati da un sistema ILITCH per eliminare i rumori. «Nel 98 non avevo i soldi per una Strato, gli ho detto che avevo solo una Jaguar ma sentivo che avevo bisogno di una strato per suonare con la band. Io e Anthony siamo andati al Guitar Center e mi ha prestato i soldi per la chitarra, negli anni ne ho avute altre di quel periodo ma non ne ho mai trovata una migliore di quella». Altre chitarre che ha usato sono la sua Strato del ’55 con il manico in acero a cui ha da poco sostituito i pick up con un set più potente fatto a mano dal costruttore della fender Paul Weller, in più anche la sua Strato Fiesta Red del ’61 e una o due Jaguar. Per le chitarre acustiche in “Bastards of light” e “Tangelo” ha usato solo delle Martin: due 0-15 degli Anni ’40, una D-28 e una 12 corde.

Bastards of Light” e la delicata chiusura “Tangelo” – erano tutte Martin: due modelli mogano degli Anni ’40, una Dreadnought D-28 e una 12 corde. Ma c’erano anche alcune novità in ambito Red Hot Chili Peppers, ovvero due Yamaha SG che vengono da fine Anni ’70 e inizio Anni ’80. Questi due pesi massimi dal doppio humbucker sono diventati gli amichetti di John durante il suo periodo fuori dalla band, ma hanno dimostrato di essere le chitarre perfette per le sovraincisioni nei momenti più hardcore dell’album. Ce lo spiega lui: «Quando c’è una sezione più pesante con powerchords distorti e questo tipo di cose, moltissime volte suonavo la Strato nella traccia principale, però le sovrapponevo la Yamaha SG dritto dentro il Marshall, senza pedale della distorsione o altro, ricavando la distorsione solo dall’amplificatore. Per un po’ di tempo c’è la Yamaha a sinistra, per esempio, e la Fender Strato attraverso un pedale di distorsione nell’altra cuffia. Ma ci sono anche cose tranquille e morbide in cui è la SG che suona».

John Frusciante insieme a una delle sue chitarre acustiche, dal vivo con i Peppers nel concerto in-store all’Amoeba di Hollywood tenutosi lo scorso 7 Aprile 2022

Dal punto di vista dell’ampli, la testata e la cassa Marshall Silver Jubilee e Marshall Major che lo hanno affiancato nei più grossi concerti dei Red Hot Chili Peppers sono state rispolverate e richiamate dalla pensione per la maggior parte dei toni, mentre ci ritroviamo un Roland Jazz Chorus per alcune sovraincisioni. Ma le letture di John in lockdown lo hanno anche spinto a ricercare un vecchio classico – il quale, come è accaduto, ha creato una connessione inaspettata con la band.
«Ho usato un Ampeg B-15» ci rivela. «Ho adorato sia l’esecuzione sia i settaggi di Greg Sage dei Wipers. Ha ottenuto alcuni dei migliori toni di chitarra che siano mai stati registrati. Ha detto che ritiene che il B-15 sia il miglior amplificatore mai costruito. Così ne ho comprato uno mentre registravamo l’album per avere un piccolo ampli da cui ricavare una differenza di tono per alcune cose. Poi, quando l’ho introdotto agli altri, Flea l’ha guardato e ha detto: ‘È lo stesso amplificatore che aveva il mio patrigno!’ Il suo patrigno era un bassista e contrabbassista, e quello era l’ampli che usava per il contrabbasso. È stata una divertente coincidenza».

Ma erano i Marshall quelli che avrebbero acceso la miccia per i toni di alcune delle vette chitarristiche dell’album, in particolare il feedback viscerale e gridato che imperversa attraverso gli assoli di “The Great Apes” e “The Heavy Wing”.

«Per me, i feedback sono una delle parti più divertenti del fare musica» afferma John, «per arrivare al feedback serve semplicemente il volume: avere tutti e quattro i diffusori di due testate e cassa accesi e cercare i diversi posti dove il feedback giusto arriverà, e camminare mentre faccio un assolo per ottenere feedback diversi su note diverse. E semplicemente avendo il volume così alto – cioè, così alto che se non avessi avuto le cuffie non sarei potuto stare lì. Le cuffie erano la sola ragione per cui le orecchie non mi sono esplose!»

Il volume esagerato ha significato che mentre molte delle tracce ritmiche venivano registrate live in sala, John era costretto a registrare la maggior parte dei suoi assoli come sovraincisione per evitare che gli amplificatori distorcessero troppo nei microfoni della batteria. Però, tramite un importante aggiustamento alla sua Strato e ai suoi ampli rispetto alle uscite precedenti nei Red Hot, quelle registrazioni della band hanno inoltre permesso al chitarrista di affinare l’essenza del suo suono.

«I bassi del pickup al manico si sentono praticamente ovunque», rivela, «per un periodo, tipo nell’era By The Way o Californication, usavo parecchio il pickup al ponte. Così, mi sono accorto che mentre registravamo questo disco, il treble era sopra il tre su entrambi i Marshall – ai vecchi tempi, il mio treble era sempre sullo zero».

Di conseguenza, il chitarrista è ancora in fase di progettazione della sua pedaliera per le imminenti date live dei Red Hot, e sta prendendo in considerazione un pedale equalizzatore per pareggiare la risposta del treble per entrambi i pickup.
Naturalmente, bisognava sperimentare con gli effetti anche altrove rispetto allo studio: sono stati usati regolarmente modulari e unità rack, insieme a pedali più convenzionali.

«Di certo ho usato più delay in questo album di quanto non abbiamo mai fatto in passato» dice John, «principalmente per l’ispirazione degli Anni ’50 – cose come Gene Vincent o Elvis, in cui spesso c’è uno slapback delay non solo sulla chitarra, ma sulla batteria e sulla voce e sul basso e su tutto. Quindi, ne avevo un po’: ne avevo uno analogico MXR, avevo un delay digitale [DeltaLab] Effectron. Qualcuno mi ha suggerito di prendere uno di questi delay a nastro che si fanno oggi, il Fulltone Tube Tape Echo. È l’ultima cosa che si sente nell’album alla fine di “Tangelo”, quando improvvisamente c’è un delay che comincia e poi evolve in una sorta di feedback per un attimo per poi diventare rumore.»

John Frusciante live @ Slane Castle con i RHCP nel 2003

Una delle nuove scoperte è stato il Boss SD-1 Super Overdrive per un tono più massiccio che aggressivo, così come l’MXR Super Badass Variac Fuzz per gli assoli più sporchi e le sovraincisioni più robuste. Resta da vedere quanti di questi andranno effettivamente in tour, e se la pedaliera di John raggiungerà i livelli di enormità di Slane Castle.
«Non ne ho usati così tanti!» ride John a ricordare la mole di pedali stompbox accanto ai suoi piedi durante quel leggendario show del 2003,

«la maggior parte delle volte, uno specifico pedale serviva solo nel caso suonassimo una specifica canzone, quindi dovevo averlo con me. E anche perché dopo che sei in tour da tanto tempo, ti annoi ad avere lo stesso suono ogni sera. Mi piace avere i pedali necessari per fare qualcosa di bizzarro e diverso se ne ho voglia».

John Frusciante sull’uso dei pedali in tour nei primi Anni 2000

AROUND THE WORLD

Le date dell’Unlimited Love tour in programma quest’anno nel Vecchio Continente: si parte il 4 Giugno 2022 da Siviglia

Ovviamente, John avrà tante opportunità per spingere sui suoi toni durante l’imminente tour mondiale dei Red Hot. Altrettanto ovviamente, le setlist saranno probabilmente composte in buona parte dai pezzi più famosi dei suoi periodi nella band, oltre a parecchio del nuovo materiale – al momento dell’intervista a Total Guitar, la band non ha praticamente fatto altro che registrare quelle 48 canzoni che hanno scritto per questo album e il suo potenziale seguito. Così, mentre la prospettiva di ascoltare Unlimited Love e altro materiale per ora inedito stuzzica tutti i fan del mondo, John sottolinea quanto sia felice di riprendere in mano vecchi classici e aggiungervi nuovi e freschi ghirigori di improvvisazione.

«È davvero bello suonare di nuovo le vecchie canzoni», dice, «per tutti noi, tornare a quel materiale è stata un’emozione speciale. E, sai, amo improvvisare sul palco. Per questo non vedo l’ora di jammare in quelle canzoni, e creare nuovi assoli ogni sera. Si crea quella dinamica di reciprocità con il pubblico, laddove la sua energia e la pressione di stare suonando di fronte ad esso senza poter riavvolgere il nastro e tornare indietro, tira fuori qualcosa da dentro il musicista che sei, qualcosa che non c’è modo che quel musicista ritrovi stando seduto in studio a registrare la propria musica da solo, come ho fatto in passato».

«Non vedo l’ora di suonare sotto quella pressione, e lasciare che venga fuori, lasciare che qualunque spirito sia con noi quella sera mi attraversi, e provare a raggiungere quella sorta di sensazione che si genera tra la band e il pubblico».

John Frusciante sul ritorno dal vivo per il tour di supporto a Unlimited Love

John si ferma un attimo. «Sai, non suono davanti a un’audience da circa 12 anni. Perciò è qualcosa di nuovo per me, come lo era scrivere musica rock dal momento che sono rientrato».

John Frusciante nel videoclip del singolo solista “Brand E”, tratto dal dal suo ultimo album di musica elettronica intotolato Maya, uscito il 23 Ottobre 2020

Eppure, Frusciante non è semplicemente ritornato al suo vecchio ruolo di chitarrista: è come se non se ne fosse mai andato. E mentre ha portato in dote nuovi trucchi dal punto di vista dei settaggi tecnici – su tutto, le sue esplorazioni dei backward delay e dei riverberi e dell’uso della chitarra modulare – è il riscoprire quella connessione musicale grezza, e la semplice gioia di suonare insieme a musicisti a lui affini, ad aver mantenuto le cose vive ed eccitanti. Tutto sommato, si delineano aspettative rosee per il terzo atto di John con i Red Hot Chili Peppers.

«Davvero, non so se alla fine del mio ultimo periodo con la band riuscissi ad apprezzare la nostra chimica quanto faccio in questo momento» ammette, «apprezzare davvero quello di cui siamo capaci – quando ti abitui a qualcosa, a volte tendi a dare le cose per scontate.

John Frusciante sull’ultimo periodo nei Red Hot Chili Peppers prima della sua (seconda) uscita del gruppo, annunciata nel 2009

«Ho passato moltissimo tempo facendo musica in cui facevo qualsiasi cosa volessi. Ed è stato grande. E continuo a farlo»

«Però mi sembrava che tornare a suonare in una band potesse essere una buona cosa per me come persona. Ma soprattutto, mi diverto troppo a suonare con quei ragazzi».

John Frusciante sul secondo rientro nei Red Hot Chili Peppers, annunciato dalla band a fine 2019.

NON IMPORTA ASSOLUTAMENTE QUANTA TECNICA POSSIEDI

John Frusciante live con i RHCP a Milano il 31 Gennaio 2003. Foto di Elisabetta Viccari

John Frusciante condivide le lezioni apprese durante una carriera da chitarrista che ha definito un’era e rivela le sue dritte per diventare il chitarrista che avresti sempre voluto essere.

Non smettere mai di impegnarti

«Nei primi due anni con i Peppers non avevo ancora trovato la mia strada. Pensavo che avrei potuto essere come Flea che, a quei tempi, si esercitava mezz’ora al giorno o, alcuni giorni, non si esercitava per nulla. E ogni volta che prendeva in mano il suo basso, veniva fuori qualcosa di meraviglioso. Così, quando mi unì al gruppo pensai: “Potrei essere così anch’io!”. Venne fuori che per me non poteva andare così – se lo avessi fatto, non sarebbe venuto fuori da me nulla di originale, non sarei stato a mio agio con ciò che avrei fatto, non mi sarei divertito sul palco, non sarei stato di scrivere canzoni e raggiungere il suo livello di creatività».

«Per essere come Flea devo darci dentro venti volte di più: ho bisogno di far musica con altra gente tutto il tempo, di buttar giù molte più idee di quante ne mostro agli altri, di sforzarmi nel capire cose che non comprendo, e che mai potrei comprendere».

Rimani onesto con chi sei

«Tra i 18 e i 19 anni cercavo di impressionare gli altri, o suonando robe ricercate o mettendoci intensità. Tutto questo c’è ancora, ma ho subito realizzato che non potevo ripiegarmi sull’intensità o sulla tecnica – per la gente la musica non ha valore finché non ci metti dentro qualcosa di tuo e tiri fuori ciò che hai dentro in maniera da renderti vulnerabile. Non ostentando ‘Hey, guardami, sono bravo’, ma donando un pezzo del tuo cuore. È stato un passaggio che mi è stato chiaro dopo aver terminato il tour di Mother’s Milk nel 1989. Così realizzai: se continuo come sto facendo, non sarò mai felice in ciò che faccio, quindi […]»

«[…] devo lasciarmi alle spalle il concetto di ciò che è buono ed essere me stesso, scoprire quello che significa e smetterla di essere ciò che le persone si aspettano che io sia, o ciò che penso che i Peppers dovrebbero essere. Devo provarci solo per scoprire chi sono».

Non impegnarti ad impressionare

«Quando misi da parte questi concetti di cercare di “essere bravo”, o di impressionare gli altri, dalla mia anima venne fuori qualcosa che non so spiegare, che giungeva quando suonavo – e la gente, a quel punto, cominciò ad apprezzarmi molto di più; comincia a significare qualcosa per gli altri. Fu un bizzarro paradosso, poiché non era più mia intenzione prestare attenzione a tutto ciò a quel punto: sarei stato me stesso, costi quel che costi»

«non cercherò più di impressionare qualcuno. E poi questo portò la gente ad interessarsi a ciò che facevo».

Falla semplice e i tuoi compagni risalteranno

«Quando iniziai a mettere da parte tutte queste idee adolescenziali e cominciai a suonare più col cuore che per colpire gli altri, Flea cominciò a suonare molto meglio. Lo capii durante le prove, facendo giusto del feedback o mantenendo una nota per molto tempo, invece di suonare propriamente. Notai che Flea veniva fuori meravigliosamente».

«Mi resi conto di come questo influenzò anche l’alchimia con la band. Fece suonare tutti meglio, poiché stavo fornendo loro una tela su cui dipingerci sopra, diversamente dal mostrare alla gente pitture solo mie».

«Ero tipo ‘lascerò a loro dipingere e darò loro solo un’atmosfera in cui muoversi’, e vidi che questo aveva davvero un buon effetto su tutti».

La vera abilità di un chitarrista risiede nel modo in cui interagisce con la band

«Troppo spesso si pensa che il valore di un chitarrista derivi dall’abilità di canalizzare l’attenzione su di sé. E ci sono molti chitarristi che sono ottimi in questo. Ma per me la cosa importante che loro possiedono – altre persone che non accentrano attenzione su loro stessi come Bernard Summer dei Joy Division, Syd Barrett, Johnny Thunders, Matthew Ashman dei Bow Wow Wow o John McGeoch dei Siouxsie And The Banshees – che hanno in comune con Eddie Van Halen, Randy Rhoads e Jimi Hendrix è che loro sapevano quale ruolo ricoprire all’interno della band e che sapevano far risaltare anche gli altri membri. Sapevano fare gioco di squadra. Certo, Eddie Van Halen aveva anche uno stile sgargiante, ma era un grande chitarrista ritmico e faceva suonare bene la sua batteria. Così come il basso e il cantante. Per me, non importa assolutamente quanta tecnica possiedi; la vera abilità di un chitarrista risiede nel far suonare bene il resto della band. Quindi, per alcuni è importante solo come sei a livello di anima. Per altri questo si traduce nell’essere ingombranti così come creare parti di chitarra prettamente per la canzone. Per alcuni non fare per nulla assoli, per altri assoli molto semplici».

John Frusciante dal vivo con Anthony Kiedis e Flea per la prima volta dopo quasi 13 anni, 8 Febbraio 2020.

«Per me è così che si misura l’abilità di un chitarrista: nel modo in cui si connette alla band creando assieme un solo sound. E l’abilità di ogni individuo può essere giudicata in base a quel sound ottenuto – non su ciò che fanno individualmente o su come appaiono e neppure se è fisicamente difficile o meno da riprodurre da parte di un musicista emergente».

«Ho realizzato che quando avevo 19-20 anni percepivo la cosa così».

Padroneggia le tue dinamiche

«Per un chitarrista saper utilizzare gli accenti penso sia la cosa più importante in termini di espressività. È la cosa su cui non hai controllo quando inizi a suonare e ti chiedi: ‘cos’è che fa suonare queste persone su questi dischi così molto meglio se sto suonando le stesse cose?’. È il modo di utilizzare gli accenti, e poi tutto quello che c’è nel mezzo».

«I miei esercizi di routine hanno molto a che fare con suonare scale in modi diversi, che passano dall’utilizzo degli accenti».

«Sono sempre consapevole di questo aspetto – sono molto attento sul concetto di volume che viene dal colpire note più velocemente e duramente o più lentamente e delicatamente».

Spegni la mente e percepisci l’alchimia

«È quando spegni il tuo cervello mentre fai una jam che realizzi che qualcosa di strano accade – come me e Flea che suoniamo lo stesso riff nello stesso momento senza averlo mai suonato prima».

«È decisamente meglio spegnere il cervello mentre ascolti e percepisci ogni sensazione che l’altro ti sta mandando. Senza dubbio è importante essere in ascolto dell’altro, ma dovresti anche divertirti nel vedere ciò che viene fuori dal tuo strumento».

«Questa è un’altra cosa che mi piace del feedback: non sai mai cosa succederà dopo. Ascolti ciò che viene fuori dall’amplificatore e dopo suoni su esso. Alle volte con i chitarristi, soprattutto quelli attenti nel valutare la qualità di ciò che producono, succede che tendano a mettere loro stessi prima delle note che vengono fuori. E so che è qualcosa di naturale, è il modo in cui le nostre menti si legano al presente. Ma se sai lasciarti andare ed ascoltare ciò che avviene, proprio come avviene, e rispondi ad esso, senza pensare a quanto dovrai rallentarti per poterci riuscire, troverai l’angolo decisamente più divertente da cui essere in ascolto. Poiché se sei preoccupato di cosa accadrà prima che accada potreste perdere il treno giusto tutti assieme, ma se ascolti che avviene e il modo in cui si collega al resto, diviene un processo rigenerativo. Così come il feedback è qualcosa che passa attraverso te, tornando verso te, penso che possa essere lo stesso con ogni tipo di suonata: suona un paio di note e aspetta cinque secondi prima di suonarne altre».

«Sintonizzati sulla sensazione di come questo influenza gli altri strumenti e dopo, al momento giusto, suona qualsiasi diamine di cosa venga fuori da te senza pensarci troppo».

«Questo è uno dei principali modi a cui è passato il mio stato mentale quando sentivo d’aver trovato il mio stile: prima di questo passaggio ero bloccato in quel momento che viene prima di suonare ciò che ti toccherà suonare. Dopo questo passaggio, ero molto più nel momento seguente l’aver suonato qualcosa».


JOHN FRUSCIANTE NOMINA I QUATTRO CHITARRISTI CONTEMPORANEI CHE ALIMENTANO IL FUOCO DELLA SUA CREATIVITÀ

John Frusciante nella sua casa di Los Angeles, anno 2004

Verso la fine delle registrazioni di Unlimited Love, John Frusciante è andato alla ricerca di nuovi modi per approcciarsi al Rock ritrovandosi a gravitare attorno a quella che lui chiama ‘musica psichedelica moderna Californiana’.

«Prendono molto dal prog ma poi vanno in una direzione strana, è davvero rigenerante per me ascoltare persone che non cercano fare cose che potrebbero essere popolari. Vogliono fare musica divertente da fare e sento quello spirito». Con questo John esprime i suoi pensieri su quattro dei suoi chitarristi contemporanei preferiti.

TY SEGALL (1987, cantautore e polistrumentista di Laguna Beach)
Ty Segall

«Ty è davvero un grande musicista a tutto tondo. In uno dei miei suoi album preferiti,  Twins, lui suona tutti gli strumenti. Manipulator è un altro dei miei preferiti. Amo il suo modo di suonare, è bravissimo a far suonare gli strumenti e gli amplificatori nel modo in cui si sente, non sai mai come potrebbe farli suonare la prossima volta. Quello che capisci dal suo modo disinteressato di suonare la chitarra è che sotto c’è un grande interesse».

JOHN DWYER (Leader degli Osees)
John Dwyer

«John è un grande leader, ogni loro album è unico, alcuni dei loro album che preferisco sono: Protean Threath, Orc e Smote Reverser. Amo la sua direzione musicale perché cambia sempre e cresce in maniere imprevedibili.  C’è un serio senso dell’umorismo nella loro musica ma è anche molto fredda. È bellissimo quando la musica unisce delle contraddizioni come queste. Le sue parti di chitarra sono molto innovative e spesso riesce a dire molto senza quasi suonare niente. È uno con così tanta energia che sembra che un treno stia suonando la chitarra».

CORY HANSON (Frontman del gruppo di L.A Wand)
Cory Hanson

«Sono felice che Cory Hanson esista. Fa quello che voglio sentire da uno strumento. Ha un approccio molto artistico e ci mette molto  cuore e li bilancia perfettamente. Ed è un gran cantanti e compositore. Il miei loro album preferite sono Perfume,  Plume e Golem. Il suo modo di fare gli assoli è creativo e coinvolgente, sa come far parlare lo strumento. Amo quando la musica mostra una vulnerabilità che ti fa sentire come se avessi un amico. È uno di quelle persone che può essere potente sia facendo musica acustica tranquilla sia elettrica e rumorosa».

ZACH IRONS (Chitarrista degli Irontom)
Zach Irons

«Zach Irons è un chitarrista poco ortodosso e molto creativo. Sempre alla ricerca di nuovi approcci: usa la mano e gli effetti in una maniera mai vista prima.  Ha le radici nel rock classico ma cerca di cambiare completamente il ruolo dello strumento. Ultimamente ha cambiato completamente il suo stile, lo so perché é un mio buon amico. La prima volta che abbiamo suonato assieme lui aveva 17 anni, eravamo noi due, suo padre (Jack Irons, fondatore dei Red Hot) e Flea. Suonammo tutto l’album Presence dei Led Zeppelin e fu molto divertente. Siamo amici da allora. Ci comprendiamo e supportiamo l’uno con l’altro in una maniera unica. È nato lo stesso giorno di Hillel Slovak».