di Paolo Tedeschi
“I was born in a land, I don’t think you understand
Johnny, Kick A Hole In The Sky – dall’album Mother’s Milk (1989)
God damn, what I am
I’m a native of this place, please don’t kick me in my face
My race has been disgraced
When history books are full of shit
I become the anarchist, I’m pissed at this
What this country claims to be
It’s a lie, no place for me, I bleed”
Con questi versi iniziava “Johnny, Kick A Hole In The Sky”, uno dei pezzi più sottovalutati della carriera dei Red Hot Chili Peppers. In questo testo, Kiedis rivendica la storia dei nativi americani, come i veri appartenenti del suolo americano, nonché alle menzogne su cui si è poi basata la rappresentazione della storia della nazione.
In occasione della ricorrenza dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e da tutto ciò che ne è conseguito, prima nei confronti della popolazione di Gaza, della Cisgiordania ed ora del Libano, qualche riflessione sull’approccio della band alla materia, per meglio dire silenzio, è lecita.
Se è pur vero che i Red Hot non sono famosi per essere una band “politica”, come potrebbero esserlo i fratellastri Rage Against The Machine o gli U2, è anche vero che non ne sono stati mai nemmeno estranei totalmente.

Perché sin dagli albori, la band mostra sicuramente attenzioni su temi ambientali, così come al razzismo e alla pace, declinato in una critica, se pur non troppo affilata e spesso un po’ retorica, alla disuguaglianza della società:
“American equality has always been sour
The Power Of Equalitiy – dall’album Blood Sugar Sex Magik (1991)
An attitude, I would like to devour
My name is peace, this is my hour”
Ma oltre alla musica su disco, i Peppers hanno partecipato ad eventi a sfondo politico, come per esempio i due Tibetan Freedom Concert del 1996 e del 1998. E come non ricordare Kiedis che fa da endorser per Barack Obama nel 2012, o la band che suona per Bernie Sanders nel 2016. In tempi, ancora più recenti, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i Red Hot hanno mostrato via social vicinanza al popolo ucraino.





Verrebbe quindi spontaneo domandarsi come mai la band, di fronte ad eventi di una portata ben più tragica non abbia espresso alcun cenno riguardo alle questioni mediorientali. Recentemente, anche band internazionali non famose per il loro impegno politico come i Massive Attack, hanno dato un segnale di vicinanza alla causa palestinese.
Di ipotesi ce ne potrebbero essere, e ognuno potrà farsi la sua, non avendo ulteriori indizi.
Questo excursus non vuole essere polemico verso la band, né aprire discussioni prettamente politiche, ma vorremmo cercare di andare oltre il “non sono una band politica” (affermazione comunque smentita dai fatti sopra elencati) e magari aprire discussioni costruttive per avere nuovi spunti a riguardo.