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Flea al Los Angeles Times: «Il nostro sentimento per la band è lo stesso di quando abbiamo iniziato»

Intervistato dal celebre giornale californiano (articolo originale qui), il bassista dei Red Hot ha parlato dei suoi compagni di band, delle impressioni del suonare nei grandi stadi e di quali sono, secondo lui, il migliore e il peggior album dei peperoncini. Lo staff di V.Q.it ha tradotto per voi le domande (e le risposte) più interessanti.

A cura di Miriam Mechelli, Tina Zannella, Francesco Generale e Vincenzo Fasulo

Qual è la tua preferita tra le interviste che hai fatto? (Qui ci si riferisce alle interviste fatte da Flea ad artisti e personaggi di spicco del mondo della musica per il suo podcast This Little Light; per saperne di più, potete leggere qui la nostra news a riguardo, n.d.t.)
Una davvero bella è stata quella con Anthony. Eravamo entrambi in lacrime perché non gli avevo mai parlato di cose del genere. Anthony non si considera un vero musicista e ritiene di non aver avuto alcuna educazione musicale. Diceva che avremmo dovuto cambiare il nome della band in Idiot and the Three Geniouses (‘l’idiota e i tre geni’, n.d.t.). E la gente lo critica, sai? Eddie Vedder è annoverato tra i grandi come il f****** Pavarotti, ma Anthony viene giudicato diversamente.

Pensi che sia un bravo cantante?
Penso che sia un grande cantante. E continua a imparare e a migliorare. Quando abbiamo fondato la band non riusciva a cantare una nota, si limitava ad urlare. Ora ha delle melodie e non le segue nemmeno. Fluisce e improvvisa. Senti, io so chi sono i grandi cantanti: Kurt Cobain, Jim Morrison, Roger Daltrey. Ma per me tutto ciò che conta, in qualsiasi musicista, è che una persona suoni come se stessa. E nessuno suona come Anthony Kiedis.

Prima di iniziare l’attuale tour dei Chili Peppers, hai detto che non sapevi come se la sarebbe cavata John Frusciante in viaggio. Come se l’è cavata?
Molto bene. Ogni concerto è come un qualcosa di sacro per lui. In pieno stile John, si esercita per cinque ore prima di ogni show, con Blow by Blow di Jeff Beck in sottofondo, suonando ogni singolo assolo e scaldando le dita.

Uno stadio da calcio è un buon posto per il rock n’roll?
Vuoi la risposta da rockstar? “Oh amico, mi manca tanto vedere le facce delle persone in un piccolo club”. Non me ne frega un c**** di tutto ciò. Ho suonato in tutti i club della Terra e ho visto le loro facce schifate [ride, n.d.r.]. Adoro suonare negli stadi. Andiamo lì fuori ed è pieno di gente, è una sensazione davvero gioiosa.

Il suono può lasciare a desiderare.
Non sono mai stato ad un concerto in uno stadio.

Neanche per gli Stones o qualcuno così?
Una volta abbiamo aperto per gli Stones al Rose Bowl [nel 1994, n.d.r.]. Avevo avuto un intervento per la sinusite e mi usciva sangue dal naso durante lo show. Tutto quel che ricordo è che c’era anche Jack Nicholson e volevo parlare con lui dei Lakers.

Gli show di questo tour sono parecchio distanziati l’uno dall’altro. Si tratta di una necessità dal punto di vista fisico?
È molto utile dal punto di vista fisico. Di certo siamo più vecchi.

Ti senti esausto a fine serata?
Mi sono sempre sentito esausto a fine serata. Mi sono sempre spinto oltre i limiti, al punto da farmi male, come negli anni ’90 quando non riuscivo neanche ad alzarmi. Fumare crack non ha aiutato. Ma i giorni liberi sono davvero belli. Riesco ad andare al museo, a vedere i Duchamp. E faccio tanti esercizi: yoga, meditazione, corsa.

Sembra assurdo chiedere se i Red Hot Chili Peppers suoneranno ancora o meno una volta raggiunti i 90 anni. Ma allo stesso modo sembrava assurdo chiedere la stessa cosa 30 anni fa riguardo ai vostri 60 anni.
Non so cosa sia assurdo e cosa no. So solo che noi tutti amiamo profondamente la musica e vogliamo sempre crescere e migliorarci. Il nostro sentimento per la band, oggi, è lo stesso di quando avevamo appena iniziato.

Qual è il vostro album migliore?
Direi Blood Sugar Sex Magik, ma ripensandoci anche lì ci sono un paio di brani che non avrebbero dovuto farne parte. The Greeting Song non è un brano all’altezza di quel disco. Californication invece è un album bello dall’inizio alla fine. Incontrai Adele un po’ di tempo fa e mi disse che Californication era il suo album preferito di tutti i tempi. Significò molto per me che sono un suo grande fan.

E l’album peggiore?
Mi pento sempre del modo in cui registrammo il primo album. Le canzoni sono ottime, andavamo fortissimo a quei tempi. Tuttavia ci fu la questione di Jack [Irons, n.d.r.] e Hillel [Slovak, n.d.r.] che lasciarono temporaneamente la band, e ci trovammo costretti ad ingaggiare altri due elementi: Jack Sherman e Cliff Martinez. Erano entrambi ottimi musicisti, ma l’intesa tra noi non era all’altezza di quella che avevamo con Hillel e Jack. Spesso mi capita di ripensare a questo particolare e vorrei tanto incidere quell’album di nuovo, ma non sono mai riuscito a convincere gli altri.