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“Frusciante, illimitato”: la nostra traduzione dell’intervista a Guitar World (1a parte)

Seconda intervista a John Frusciante dopo il suo rientro nel gruppo: dopo Total Guitar tocca al magazine Guitar World. Tra influenze musicali e aneddoti sulle dinamiche che hanno riportato il chitarrista newyorkese a tornare nei RHCP dopo oltre 13 anni, Frusciante racconta il suo amore per Hillel Slovak e tutta la sua riverenza nei confronti della formazione originale dei Peppers.

Traduzione a cura di Dario Giannulo, Francesco Generale, Paolo Tedeschi e Tina Zannella.


I RHCP con John Frusciante in formazione ai tempi di Mother’s Milk (1989)

FRUSCIANTE AVEVA SOLO 18 ANNI QUANDO GLI FU OFFERTO IL POSTO DA CHITARRISTA nei Red Hot Chili Peppers. A quell’età, aveva già passato anni ad affinare le sue abilità con lo strumento, immergendosi nel modo di suonare di Hendrix, Beck e Page; Eddie Van Halen e Randy Rhoads; Steve Howe, Steve Hackett e Steve Vai; Frank Zappa e Robert Fripp e Adrian Belew. Ascoltava i Germs e i B-52 e i Siouxsie and the Banshees, Sly Stone e James Brown e i Parliament, funk e punk e rock e prog e shred e new wave e goth. «Ho attraversato molte fasi» dice Frusciante, «crescendo come chitarrista, ogni anno mi sentivo una persona diversa, perché mentre continuavo a migliorare, i miei gusti cambiavano sempre in qualcosa di un po’ più difficile da suonare».

Ma per tutta la musica che amava – ed ha amato tantissima musica – Frusciante amava di più i Red Hot Chili Peppers. «Erano la mia band preferita», rivela a Guitar World un pomeriggio su Zoom. Vivendo a L.A. in quel periodo, dice,

«Li andavo a vedere ogni volta che potevo. Andavi a uno dei loro concerti, e c’era questa energia magica che si sprigionava. Era come trovarsi in un sogno».

John Frusciante in veste di fan dei RHCP, quando ancora non era parte della band

Sarebbe ragionevole pensare, dunque, che essere scelto per diventare un partecipante permanente di quell’energia, beh, sia un sogno per un chitarrista. E, di certo, quando Frusciante diventò ufficialmente un Peperoncino nel 1988, portò con sé, com’era lecito aspettarsi, la sfrenata energia e l’entusiasmo di un ragazzino che ha appena vinto alla lotteria dei chitarristi rock. Cos’altro ha portato? Doti sopraffine, un alto livello di capacità tecnica col suo strumento (all’epoca, dice, era in grado di riprodurre minuziosamente qualsiasi parte strumentale di Frank Zappa, così come tutti gli assoli del disco metal degli Alcatrazz del 1985, Disturbing the Peace, che erano opera di un allora astro nascente delle sei corde di nome Steve Vai) che ha permesso a quell’avventura a base di punk e funk di evolversi verso territori musicali mai esplorati in precedenza.

Però, qualcosa mancava. «Ci furono delle difficoltà per me per tipo il primo anno nella band», dice Frusciante.
Fa una pausa, poi ricomincia. «Devo dire qualcosa che penso possa essere utile per i chitarristi. Penso che all’inizio del mio periodo nella band, ero troppo focalizzato sull’impressionare la gente, e non avevo abbastanza fiducia in me stesso. Pensavo tutte queste cose – ‘voglio essere unico’, ‘voglio dimostrare qualcosa’, ‘voglio mettermi in luce’ – e tutto ciò che facevo sembrava forzato. Non mi sentivo libero e non sentivo di stare comunicando quello che volevo comunicare. Non credevo di stare andando in profondità dentro me stesso».

Mother’s Milk, il primo album con John Frusciante in formazione, pubblicato nel 1989

Il primo album di Frusciante con i Red Hot, Mother’s Milk del 1989, aggiunse un qualcosa di più orecchiabile e più hard-rock al loro sound, con riff più ampi e densi e parti soliste più rapide e appariscenti. Esso divenne il loro album di maggior successo fino a quel momento e disco d’oro per le vendite. Ma, afferma Frusciante, «nella parte finale di quel tour, raggiunsi un livello di infelicità tale da farmi dire ‘Butterò via tutte queste canzoni che sto provando a comporre. Smetterò di cercare di attirare l’attenzione delle persone. Tirerò fuori interamente il mio ego’».
E invece, continua, «Decisi che avrei usato la mia chitarra per supportare gli altri membri della mia band. Così ho semplificato ciò che facevo. Allo stesso tempo, ci mettevo cento volte di più la quantità di espressione personale e anima che ci avevo messo fino ad allora».
Questo cambiamento, secondo Frusciante, «è stato il passo che, all’improvviso, ha portato le persone ad accorgersi davvero di quello che facevo».

«Non stavo provando ad essere un Red Hot Chili Pepper nel modo in cui ritenevo che la gente immaginasse che doveva essere – ho solo cominciato ad essere me stesso. E quella versione onesta di me stesso è ciò che avete conosciuto da allora».

John Frusciante sul cambio di mentalità post Mother’s Milk

Quella versione onesta, insieme a una mente aperta e creativa e alla determinazione di suonare sempre per la canzone, è stato il filo conduttore in tutti i lavori di Frusciante, dai sinuosi lick funky a una sola nota, le fluide, Hendrixiane melodie di accordi e i secchi riff che hanno caratterizzato il suo modo di suonare per l’epocale Blood Sugar Sex Magik del 1991, alle righe essenziali, vocali, che si sovrapponevano agli eterei paesaggi di suono di “Scar Tissue” e “Californication”, entrambe tratte da Californication, uscito nel 1999.
Ce la ritroviamo anche in quelle escursioni e sperimentazioni, talvolta molto lontane, che sono le sue diverse composizioni da solista  del suo periodo(i) fuori dalla band. E c’è anche in Unlimited Love, il nuovo album dei Red Hot Chili Peppers con Frusciante alla chitarra dopo circa 15 anni dall’ultima volta.

Unlimited Love, il dodicesimo album dei RHCP rilasciato il 1° Aprile 2022

Ovviamente, il nuovo album è attesissimo. I Red Hot hanno avuto nella band diversi chitarristi straordinari nel corso della loro storia, dallo scomparso Hillel Slovak (che Frusciante ha sempre riconosciuto come un’influenza fondamentale) a Dave Navarro dei Jane’s Addiction, a, più di recente, Josh Klinghoffer, che ha suonato la chitarra nei loro ultimi due album, I’m With You del 2011 e The Getaway del 2016. Ma, probabilmente, è la combinazione tra la chitarra di Frusciante, il basso di Flea, la batteria di Chad Smith e la voce di Anthony Kiedis a rappresentare, per moltissimi fan, la versione perfetta della band.

E, in Unlimited Love, di musica per corroborare questa opinione ce n’è parecchia. Il disco di per sé è un progetto enorme, con 17 canzoni e più di un’ora di musica. In tutto il lavoro, la chitarra di Frusciante è splendida. Il pezzo di apertura e primo singolo, “Black Summer”, in cui i suoi accordi liquidi fanno poi posto alle luminose melodie del ritornello e ad un assolo martellante sostenuto dal fuzz, e la calma canzone di chiusura “Tangelo”, costruita sul suo delicato, quasi classico fingerpicking. Ci sono le travolgenti linee di vibrato di “The Great Apes” e i toni schiumosi e gli accordi complessi di “White Braids & Pillow Chair”. Ci sono le circolari, inquietanti strutture a nota singola che chiudono “Veronica” e le ondate di feedback burrascoso che cavalca fino alla catartica release in “The Heavy Wing”.

Il risultato non consiste solo in un grande album dei Red Hot Chili Peppers, ma nella dimostrazione che la band, più di 30 anni dopo la prima volta che Frusciante ha suonato con loro, insieme raggiunge ancora nuovi picchi. «Quando ho cominciato a parlare con Flea per la prima volta», ricorda Frusciante a proposito del suo ultimo ritorno all’ovile, «ci siamo detti ‘se ricominciamo a suonare insieme, dobbiamo fare qualcosa di completamente diverso da ciò che abbiamo fatto prima’».
Nel momento in cui Frusciante e Flea hanno avuto questa conversazione, c’è da dire, non c’era alcuna garanzia che sarebbero effettivamente tornati a suonare insieme, almeno non nei Red Hot Chili Peppers. Frusciante aveva lasciato la band nel 2009, a seguito del gigantesco tour mondiale di promozione dell’album Stadium Arcadium, per dedicarsi alla propria musica. Ha passato i dieci anni successivi immerso in una carriera solista che lo ha visto esplorare in profondità sintetizzatori e musica elettronica. Ma non ha mai smesso di suonare la chitarra. «Facevo musica elettronica, ma ho anche passato un periodo, non molto tempo fa, in cui suonavo su molta della roba di Charlie Christian» dice lui.

«La mia routine prevedeva il fare musica elettronica per 6 giorni a settimana, e in un solo giorno passare 15 o 16 ore ad apprendere gli assoli di Charlie Christian. Entro la fine di quell’anno avevo imparato tutti gli assoli che aveva fatto con Benny Goodman e Lionel Hampton – li avevo memorizzati tutti».

John Frusciante e la sua routine nel periodo di allontanamento dalla band

Nel mentre, Frusciante e Flea riallacciarono la loro amicizia. «E per quanto riguarda Flea, il jazz è il primo genere ad aver formato la sua mente musicale», dice. «Perciò era eccitato per il fatto che stessi imparando i pezzi di Charlie Christian, e mi disse di proporgli qualche canzone da imparare. Ci vedemmo un paio di volte per farlo, e più tardi a un certo punto avevo dei beat di drum machine pronti nel mio studio, e provammo delle jam su quelli per un paio d’ore, solo io con la mia Strato e lui col suo basso. Non aveva nulla a che fare col concetto di un mio ritorno nella band. Semplicemente suonammo questa roba di Charlie Christian, e pensammo che ci saremmo potuti divertire a jammare sulla drum machine».

Da allora, i pezzi iniziarono casualmente ad incastrarsi. «Circa nello stesso periodo incontrai Chad da qualche parte, e lui mi disse che gli sarebbe piaciuto jammare con me», dice Frusciante ridendo. «E così c’era una roba tipo ‘chi chiameremo per suonare il basso? Io non conosco molti bassisti!’, ma io e Flea avevamo appena fatto quella fantastica jam, quindi gli dissi: ‘Chad ha accennato che gli piacerebbe suonare insieme qualche volta, tu ci saresti?’, e Flea rispose ‘certo, sarebbe figo’. Ricordo anche che si fermò per circa 10 secondi, per poi dire ‘pensi mai alla possibilità di tornare nei Red Hot Chili Peppers?’».

A quel tempo, il chitarrista dei Chili Peppers era ancora Klinghoffer. Ma la chimica tra Frusciante e i suoi vecchi compagni di band era innegabile. «Quindi dissi a Flea ‘sì, ci ho pensato’», continua Frusciante. «Ne parlammo per un po’. Poi Flea andò a parlarne con Anthony, e Anthony disse che era entusiasta all’idea».

Malgrado ciò, Frusciante resistette. Aveva già lasciato la band due volte – prima nel 1992, quando si accorse di sentirsi sempre più a disagio con l’enorme fama che i Chili ottennero con il successo rivoluzionario di Blood Sugar Sex Magik, e poi di nuovo dopo Stadium Arcadium. «Essere in una band con altre persone può essere davvero difficile quando sei in una posizione vulnerabile a mettere il tuo cuore e la tua anima in ogni cosa che fai», spiega. «E direi che il problema più grande che abbiamo mai avuto fu la mancanza di comunicazione in un momento in cui comunicare sarebbe stato molto produttivo. Volevo mettere le cose in chiaro e assicurarmi che nessuno si fosse creato delle false speranze».

John Frusciante per Guitar World, foto di Jonathan Weiner

Voleva esserne talmente sicuro che, infatti, quando Flea e Kiedis lo incontrarono qualche settimana dopo per discutere della possibilità di riunirsi:

«Provai davvero in tutti i modi a rendere loro chiaro perché avrebbero potuto non rivolermi più nella band», dice Frusciante. «Feci addirittura delle note, perché volevo elencare il maggior numero possibile di ragioni per cui avrebbero potuto pentirsi della decisione, sai?». Alla fine, però, «nulla di ciò che dissi li fece desistere».

John Frusciante racconta il processo di riavvicinamento ai RHCP, dopo esserne stato fuori per oltre 13 anni

Con Unlimited Love di ritorno importante non c’è solamente quello di John Frusciante. La band si è anche ricongiunta col produttore Rick Rubin, che ha guidato la ogni disco dei Peppers da Blood Sugar Sex Magik, ad eccezione del recente The Getaway. Vista la combinazione degli eventi, sarebbe stato assurdo non riavere indietro anche lui. Rubin presenziò la prima prova della band con Frusciante e, in una recente intervista, ha affermato che vedere i quattro musicisti suonare di nuovo insieme lo ha sovraccaricato di così tante emozioni da farlo piangere. Una volta che la band si è riunita nello studio Shangri-La di Rubin a Malibu ha cominciato a lavorare sodo e velocemente. «Abbiamo registrato 50 canzoni in tre settimane», ci informa Frusciante. Il chitarrista ha vissuto in studio di registrazione durante le sessioni e lì nella sua stanza da letto dice: «a sinistra avevo un grande poster di Johnny Thunders, sulla destra uno di Randy Rhoads e uno di Jimi Hendrix dietro il mixer di fronte a me. Non era qualcosa di preparato, ma sembrava la somma delle mie coordinate mentre componevo il disco». Questi tre chitarristi potrebbero essere stati una presenza costante per lui durante le sessioni, ma nella mente di Frusciante c’erano chiaramente anche altri protagonisti. «Per quanto riguarda l’approccio chitarristico, ciò che ascoltavo in continuazione erano Blow By Blow e Wired di Jeff Beck e The Complete King Federal Singles di Freddie King, ovvero un doppio album in cui sono presenti tutti i suoi singoli di inizio carriera. Passavo tutto il tempo memorizzando quegli assoli», ci dice.
Cosa c’era di così attraente nel mondo di suonare di Beck e King?
«Amo il modo in cui riescono a dare ad ogni nota la propria personalità, come se ogni nota fosse un evento emozionale differente, che è qualcosa che si perde suonando sempre velocemente – essendo le note suonate tutte allo stesso modo, non si distinguono a causa della velocità. Mentre io volevo suonare in un modo che fosse lirico, emotivo ed espressivo. Jeff Beck, Freddie King, Albert King, erano quindi dei punti di riferimento durante le registrazioni. Ne avevo anche altri, ma questi erano quelli su cui tornavo spesso», afferma.

Da qui in poi il racconto di Frusciante sul suo approccio chitarristico si sposta da un piano tecnico ad uno spirituale. «Ero molto ispirato da artisti non molto tecnici ma che invece mettevano energia nello strumento – al punto che sembra che lo strumento stia per esplodere. Per me ci sono un paio di modi per far ciò. Ad esempio, Eddie Van Halen ci riusciva. Molto aveva a che fare con la sua tecnica, ma c’era anche molta energia che confluiva nelle sue tecniche. Lo stesso vale per Randy Rhoads. Ogni volta che cominciava un assolo era davvero eccitante. Era un qualcosa che non poteva mancare. Questo è un tipo di energia. Poi c’è un altro tipo di energia, come quella di artisti come Johnny Thunders. Soprattutto nel primo disco degli Heartbreakers, dove non è tanto avere il controllo dello strumento, ma più esserne fuori controllo, facendolo suonare come se dovesse esplodere dalle tue mani».

«Johnny Thunder era molto bravo in questo, così come lo erano Greg Ginn e Kurt Cobain. Molto del mio modo di suonare in questo disco è stato come nel voler colmare il vuoto tra queste forme di espressione – ci sono momenti delicati e momenti di reale distruzione dello strumento. Mi sono interessato di entrambi gli aspetti».

John Frusciante sul suo approccio nel suonare la chitarra in Unlimited Love

Un esempio di questi approcci chitarristici estremi combinati assieme su Unlimited Love è rappresentato dalla chitarra di Frusciante in “The Great Apes”. «Su quel pezzo, sia nell’assolo centrale che in quello finale, sento di creare una sintesi di questi aspetti. C’è la velocità, ma cosa ancora più importante, c’è molta espressività». Ma c’è anche molta intensità, aggiunge. «Consiste nel suonare la chitarra trasmettendo ad essa più intensità, sarà esplosivo».

John Frusciante per Guitar World, foto di Jonathan Weiner

IL TEMPO DI JOHN FRUSCIANTE dentro (e fuori) i Red Hot Chili Peppers, e gli alti molto alti e i bassi molto bassi che lo hanno accompagnato, è stato ampiamente documentato. Nonostante tutto, dice, c’è un legame che è stato forgiato tra i membri della band che non potrà mai essere spezzato. «Abbiamo un rapporto speciale perché siamo passati dall’essere una band da club a una band da arena insieme», dice. «Ad esempio, quando ero agli inizi nella band, abbiamo fatto degli spettacoli pessimi. Non sempre, ma c’erano spettacoli in cui non si presentava nessuno, o spettacoli in cui sentivamo che il pubblico non era così entusiasta come lo era prima che io entrassi nel gruppo. Così abbiamo dovuto costruire la nostra energia insieme per creare qualcosa di nuovo nella band. E questo lo abbiamo tirato fuori l’uno dall’altro. È una connessione che condividiamo e che nessun altro può condividere con noi, poiché solo noi quattro abbiamo vissuto quell’esperienza».

È un’esperienza, riconosce anche Frusciante, molto diversa da quella condivisa dalla versione originale della band formata da Flea, Kiedis, il chitarrista Hillel Slovak e il batterista Jack Irons.

«Quei ragazzi si conoscevano dalle scuole medie e superiori, e sono passati dall’essere dei tipi goffi che dormivano sul pavimento della gente a realizzare d’un tratto, ‘Wow, quando saliamo sul palco, abbiamo questa energia che fa ballare un intero club di persone’» dice Frusciante. «Per me, niente di quello che abbiamo fatto intacca quella formazione in termini di energia che ho sentito ai loro spettacoli».

John Frusciante e la sua ammirazione per la formazione originale dei RHCP, quella composta da Kiedis, Flea, Hillel Slovak e Jack Irons.

La riverenza di Frusciante per la formazione originale dei Red Hot Chili Peppers è profonda, ed è sincera. Tanto che, una settimana dopo la nostra intervista, torna per raccontarci ulteriormente come ci si sente ad unirsi alla propria “band preferita al mondo”.

I RHCP nella loro formazione originale, da sinistra a destra: Jack Irons, Hillel Slovak, Anthony Kiedis, Flea

«Volevo solo continuare a suonare nello stile che avevano creato con Jack e Hillel», dice. «Pensavo che avrei suonato come Hillel, ma in maniera più appariscente. Dopo circa nove mesi mi sono reso conto che la mia esuberanza non stava impressionando nessuno, e non c’era davvero posto per questo nella chimica della band, così per un po’ ho fatto affidamento solo sulla mia energia».

«In quei primi nove mesi, ho avuto l’impressione che a gran parte del loro pubblico non piacessi, ma quando abbiamo pubblicato Mother’s Milk, mi sono sentito abbastanza accettato».

John Frusciante racconta i primi mesi dopo esser entrato nella band come chitarrista al posto del compianto Hillel Slovak

Riguardo alla particolare influenza di Slovak, tragicamente morto per un’overdose di eroina a soli 26 anni [nel 1988], Frusciante dice: «Sono molto fortunato ad aver sostituito un così grande stilista. La sfida di tentare di attrarre il suo pubblico è stata costruttiva per il mio personaggio, e anche quando è apparso il mio stile personale, stavo ancora usando il suo come base per quello che facevo. E fortunatamente per me, c’era una strana confluenza di anime, dove più rimanevo all’interno dei parametri stabiliti da Hillel, più suonavo come me stesso».

«Volevo che il gruppo suonasse bene, così ho smesso di preoccuparmi di come avrei potuto presentarmi. Mi accontentai di fare da spalla agli altri ragazzi del gruppo e, inaspettatamente, questo mi fece risaltare di più, piuttosto che di meno. Ancora oggi vedo lo stile di Hillel come il centro del mio, per quanto riguarda la band. Era un giocatore di squadra, e aggiungeva colore e significato ai contributi dei suoi compagni, e questo è quello che cerco di fare anch’io»

Frusciante esprime tutta la sua ammirazione e gratitudine per Hillel Slovak

È interessante notare che, nonostante tutta la devozione giovanile di Frusciante per i Chili Peppers, egli dica anche che «entrarci è stata una cosa molto graduale». Si è avvicinato alla band per la prima volta all’età di 14 anni, quando il suo insegnante di chitarra dell’epoca fece un’audizione per un posto nell’allora nascente gruppo. «Era il periodo in cui Hillel e Jack avevano abbandonato il gruppo [entrambi sarebbero poi rientrati], e stavano cercando un nuovo chitarrista e batterista», dice Frusciante. «Presero Cliff Martinez della band di Captain Beefheart per la batteria, e per la chitarra la scelta era tra Jack Sherman e il mio insegnante, che non ottenne il lavoro, ma seppi della band proprio quando mi disse della sua audizione».

Non molto tempo dopo, un amico diede a Frusciante una compilation di musica dei Chili Peppers. Quello che sentì gli piacque, ma, dice,

«solo quando li ho visti dal vivo sono diventati la mia band preferita. Questo è successo quando la band originale, con Jack e Hillel, era tornata insieme, non avevo mai visto niente del genere. L’energia era incredibile. Ho saltato per tutto lo spettacolo, e tutto sembrava  una sfocatura psichedelica. Tutti erano davvero felici, e non sembrava che la band e il pubblico fossero separati. Quindi, se mi chiedi cosa ho amato di loro, è questo: quell’energia magica».

John Frusciante su ciò che lo ha fatto innammorare dei Red Hot

Come evidenziato in Unlimited Love, oggi quell’energia magica è ancora viva nei Red Hot Chili Peppers. Ma richiede di fare tendenza. «Penso di aver amato la band con in formazione Hillel così tanto che, ai miei primi tempi con loro, tutto quello a cui riuscivo a pensare era quell’energia e a cercare di eguagliarla», dice Frusciante. «E pensavo che questo significasse essere il chitarrista più infuocato di sempre, ad ogni livello».

John Frusciante per Guitar World, foto di Jonathan Weiner

Ciò che in realtà significava, come Frusciante torna a dire, era trovare quella “onesta versione” di se stesso come chitarrista. «Una volta che ho smesso di forzarlo», dice, «è stato allora che ho cominciato a sentirmi come, ‘Wow, abbiamo davvero quella stessa energia magica che la band aveva con Hillel’». Frusciante fa una pausa. «Del tipo, non stiamo cercando di averla, sai? Ce l’abbiamo e basta».